giovedì 14 agosto 2014
PECHINO PER NON DIMENTICARE
Ci sono immagini che sopravvivono all’usura dei secoli: Piazzale Loreto col suo orrore ci dice che la guerra è finita. L’uomo sulla luna ci ricorda quanto siamo capaci. Il fungo atomico ci suggerisce che un giorno potremo autodistruggerci. Complimenti. Quasi sempre queste immagini rappresentano il trionfo del male. Il bene non fa notizia; al massimo un film. Se sei ancora vivo finisci in televisione.
Il Novecento ha aperto il sipario con gli spari di Sarajevo, e gli spari continuano. I morti si contano a milioni. Nessuno pensa di smettere. L’ONU è un carapace vuoto di cui si parla sempre, inutilmente. I suoi cinque Paesi più importanti sono i più grandi produttori di armi del mondo; e non servono per sparare alle lepri.
Un grande giornalista americano ha detto che nessun articolo ha la forza di un’immagine. E’ vero: le parole si dimenticano, le figure restano.
Pechino, fine maggio 1989. Appena ventitrè anni fa. Un’immagine consegnata alla Storia ritrae un giovane davanti a un carro armato. Frase banale detta in questi casi: carne da macello. Il ragazzo veste pantaloni scuri, una camicia chiara con maniche corte, una testa di capelli neri come l’antracite. Pechino, Piazza della Pace Celeste. Qualche volta i cinesi sanno anche essere spiritosi: la Pace Celeste.
Ricevo e leggo mensilmente i rapporti di Amnesty International. In Cina le esecuzioni si contano a migliaia, i diritti umani sono letame. Quello che avviene nelle loro carceri, e non solo in quelle, dà il voltastomaco. Consiglio di leggerli dopo la digestione. I loro sorrisi e le loro moine, da tubo catodico, sono pari solo alla loro crudeltà.
Il giovane non si muove davanti al carro armato. Quello minaccia di spiaccicarlo sull’asfalto, lui niente. E’ un duro. Ci sono Paesi in cui è facile fare il duro; in Cina finisci con un proiettile nella nuca che viene addebitato alla famiglia. Le autorità cinesi hanno a cuore il bilancio statale.
I nomi che strimpellano le vocali, o percuotono le consonanti tipo: Hu Yao-bang o Deng Xiao-ping suggeriscono ai giovani una parola sola: Basta! Quei giovani non volevano parole ma fatti. Il mondo cambia; cambiamo la Cina. Sono degli utopisti e lo sanno: hanno scritto un testamento in cui dicono di cercare solo la verità. La verità!
Quanti cimiteri ha riempito questa grande, bella parola.
Ricordo una frase letta da ragazzo di cui, purtroppo, ne ignoro l’autore. Diceva: “La verità non trionfa mai, ma i suoi oppositori soccombono sempre.” Meno male. Il loro testamento, che analizzava gli antichi mali cinesi, e proponeva nuove e rivoluzionarie soluzioni non trionfò.
Il 4 giugno 1989 i militari soffocarono nel sangue la verità e coloro che la chiedevano. Testamento compreso. Chi scrive un testamento sa quel che lascia e ciò che lo attende. Soprattutto da quelle parti. Quella verità negata costò 3000 morti, 60 mila feriti e una foto che ha fatto il giro del mondo.
Dorno, Italia, ventirè anni dopo. Per non dimenticare.
(Remo Torti)
Pubblicato su un quotidiano locale.
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