venerdì 17 febbraio 2012

LA COMMESSA ATTEMPATA










   Il proprietario del negozio guardò il cliente con l’aria del ruffiano, poi la commessa, quindi ancora il cliente facendogli l’occhiolino.
   “Ti piace? È una cotoletta stagionata ma tenera come il burro. È fattibile” bisbigliò viscido.
   “È un bel tipino” rispose il cliente “ma cosa significa fattibile?” Il proprietario lo prese sottobraccio portandolo nell’altro locale; quello dei saldi.
   “Senti… ormai ti conosco e capisco certi sguardi. Quando la fissi la spogli con gli occhi.” Il cliente, abituato al “lei” non gradì quel “tu” che annullava l’educazione. Decise di contraccambiarlo.
   “Questo lo dici tu che mi devi spiegare cosa significa fattibile.”
   “Ascolta… è separata, calda come una leonessa in calore, ha bisogno di soldi come l’aria che respira, tiene una figlia all’università e tutte le spese per tirare avanti. Ecco perché viene a lavorare la domenica.”
   “Sei così bene informato perché te la sei fatta. Sei il proprietario, le paghi lo stipendio, ci aggiungi qualche paia di scarpe e il gioco è fatto. Dico bene?” Il proprietario lanciò un’altra occhiata nel primo locale e riprese:
   “Ci ho provato col portafoglio sul tavolo ma niente da fare”.
   “Stento a crederti, visto che tutte le volte che ci vediamo ti vanti delle tue conquiste” rispose il cliente puntandogli l’indice sul petto.
   “Quella coi pantaloni è mia moglie, lei, la cotoletta, è la commessa e sono amiche. S’è rifiutata per timore di perdere posto e stipendio. Hai capito?” Aveva capito. Che, almeno a parole, fosse un cacciatore di orgasmi extraconiugali lo sapeva, nonostante il fisico da fantino, l’abbronzatura artificiale, lo sguardo avido di prede. Probabilmente sopperiva a tutto questo a suon di bigliettoni.
   Il negozio di scarpe stava alla periferia della cittadina termale circondata da verdi e dolci colline disegnate a vigneti. Erano i giorni di Ferragosto, i saldi resistevano da luglio, la domenica tutti aperti. Ritornarono nel locale grande con l’ingresso al centro dove le due donne sopportavano, col sorriso d’occasione, una famiglia dai gusti difficili, con un ragazzotto immusonito e dalle pretese impossibili. Il cliente prese due paia di scarpe, si accomodò su una poltroncina fingendo di provarle. Puntò prima la proprietaria, poi la commessa. La prima vestiva pantaloni a vita bassa incollati alla pelle, una camicetta cortissima che scopriva l’ombelico, un davanzale abbondante troppo in mostra, l’aria libidinosa da peccatrice senza problemi.
   La commessa era un bel tipino faccia smorta, gli occhi due biglie di onice, la capigliatura talmente ampia e vaporosa capace di contenere un paio di sandali. L’espressione, nonostante i sorrisetti riservati ai clienti, era triste, tipica di chi si alza al mattino con troppi problemi senza sapere come risolverli. Si chinò davanti al ragazzotto col decimo paio di scarpe esponendo un lato B di invitanti rotondità.
   Il proprietario, sempre più viscido, fece ancora l’occhiolino al cliente, e con la mano il gesto di seguirlo. Si isolarono nel localino di prima.
   “Scusami ma non ricordo il tuo nome” gli chiese sottovoce.
   “Non puoi ricordarlo, non te l’ho mai detto. Comunque mi chiamo Luca.”
   “Grazie Luca, e che lavoro fai?”
   “Sono enologo in trasferta per motivi di lavoro. Ecco perché vengo sempre a Ferragosto, Natale e Pasqua.”
   “Quindi sei qui senza moglie.”
   “Esatto.”
   “Bene. Per la cotoletta lascia fare a me.” Il cliente allargò le braccia deciso a stare al gioco. Ritornarono dall’altra parte, aspettarono che il ragazzotto incontentabile fosse accontentato poi il proprietario prese l’iniziativa.
   “Scusami Sonia, ti presento Luca, vedi di accontentarlo tu; io non ci riesco” disse falso come Giuda.
   “Io? Posso provarci” solfeggiò Sonia mentre si stringevano le mani. Si appartarono nel localino dei saldi. Sonia, sorridendo come un’oca giuliva, chiese a Luca:
   “Io dovrei sapere cosa desidera esattamente”.
   “Un paio di mocassini per finire l’estate, e due paia per l’autunno. Approfitto dei saldi” rispose Luca fissandola per poi guardare gli scaffali coi modelli allineati come i cavalli sulla linea di partenza.
   In meno di mezz’ora Luca trovò le tre paia di scarpe di suo gusto. Parlarono di morbidezza, stringhe e mocassini, pelle e camoscio. C’era, negli sguardi di entrambi, una punta di curiosità ma niente di più. Tutto il dialogo rimase nella dimensione e cortesia commerciale. Quando il proprietario vide le tre scatole vicino alla cassa esclamò:
   “Complimenti Luca, tre ottimi acquisti. L’ho sempre detto: le donne superano gli uomini tanto in senso verticale quanto in orizzontale”. Le due donne sorrisero al doppio senso della battuta.
   “Merito della signora Sonia; una commessa che vale oro” esagerò di proposito Luca. Il proprietario raffreddò gli entusiasmi:
   “Dopo questa battuta mi chiederà l’aumento di stipendio. Però Luca può rimediare invitando Sonia a cena”.
   “Io a cena? No grazie, non è proprio il caso” rispose lei con un sorrisetto malizioso che lasciava qualche spiraglio.
   “Luca, porteresti Sonia a cena stasera alle otto?” insistètte l’altro.
   “Volentieri, però ha appena rifiutato.” Mentre Luca mostrava la carta di credito l’altro alzò il telefono, chiamò il ristorante e prenotò un tavolo per due. Si fece bello alzando la voce:
   “Prenotato un tavolo per due, stasera Ristorante lo Scoglio. Luca aspetterà Sonia davanti al negozio alle ore venti precise. Chiaro?” I due interessati tacquero limitandosi ad una occhiata di circostanza.
   Alle venti precise Luca si piazzò davanti al negozio con la sua
Audi, controllò l’ora, spense la musica. Aprì il finestrino, si accese una sigaretta, osservò il viavai sul marciapiede fatto di glutei enormi, pance esagerate, rari corpi giovanili belli e sottili. Ebbe l’impressione che tutti andassero verso il nulla. Che era una cittadina termale per persone mature e anziane lo aveva sempre saputo.
   Era convinto che lei sarebbe venuta per tre motivi: primo, quel ruffiano del proprietario voleva accontentare cliente e commessa. Secondo, il tavolo era prenotato. Terzo, lei rimediava una cena in un bel ristorante, per il dopocena si sarebbe visto alla fine.
   Infatti Sonia arrivò ma con dieci minuti di ritardo, lui le aprì la portiera senza scendere, lei provò a scusarsi:
   “Io sono in ritardo e mi scuso. I saldi e i clienti mi hanno mollato mezz’ora dopo”. Si mossero verso il ristorante che lei conosceva e gli indicava la strada. Il tavolo per due stava in un angolo, il posto era elegante e raffinato, rivestito con parecchio legno, più silenzioso di una chiesa deserta, le luci troppo basse, l’aria condizionata al minimo. Alle pareti quattro quadri orribili, sui tavoli le candele colorate nel bicchiere e vasettini di fiorellini agonizzanti. Li prese in consegna un cameriere attempato e gentile che non aveva ancora ghermito la pensione o lavorava in nero, l’aria falsamente allegra tipica di chi digerisce male.
   Luca lasciò a lei la scelta, tenne per sé la carta dei vini, studiò la donna intenta a scorrere il menu. Non aveva la fede ma si vedeva l’impronta, orecchini e collanina facevano pendant, modello vecchio di venti o più anni, probabile regalo di fidanzamento o giù di lì. La camicia era allegramente a fiori aperta più del necessario, la gonna un tubino aderente con una lunga fila di bottoni sul davanti chiusi solo fino alle ginocchia. Il bel faccino era smorto, la chioma impressionante, l’espressione restava un enigma tutto da sciogliere.
   “Io ho scelto pesce, e lei?” chiese Sonia porgendogli l’elegante menu. Lo infastidì un poco il fatto che cominciava sempre col pronome personale: “io”, “io”, “io” quasi fosse l’unica al centro dell’universo.
   “Il pesce lo scelgo al mare, in collina opto per la carne” rispose Luca scorrendo la lista mentre lei lo studiava  senza darlo a vedere: fede all’anulare sinistro, abito scuro di buon taglio, cravatta Missoni su camicia azzurra sbottonata sotto la gola, orologio d’oro con cinturino in pelle, aria da manager capace di staccare assegni senza problemi.
   “Il vino lo sceglie l’enologo” informò lei il cameriere in attesa leggermente inclinato. Cominciarono gustando gli stuzzichini offerti dalla casa.

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