BRIVIDI A
MEZZANOTTE
La scala
che saliva al primo piano era buia, ripida e senza corrimano. In alto, alla
fine dei gradini, una sottile lama di luce filtrava sotto la porta. Appena
dentro alla galleria d’arte la giornalista individuò il direttore, si presentò
informandolo del buio scala.
“È stato un
problema tecnico, improvviso e imprevisto. L’elettricista sta arrivando.
Grazie… piacere” disse ossequioso allungando la mano e dimostrando, con quel
“piacere”, di conoscere il Galateo come la Teoria della relatività. Poi, con un inchino,
aggiunse “il suo articolo darà lustro alla nostra mostra agevolando
l’afflusso”.
La
giornalista, abituata a studiare il prossimo in profondità, lo trovò viscido
come un’anguilla. Anche perché guardava tutti di sbieco. Fu accompagnata al
tavolo del rinfresco dove il direttore sfoderò tutta la sua autorità intimando
al cameriere:
“Questa
signora, che ci onora con la sua presenza, è una famosa giornalista” anche se
non era vero “trattamela bene. È un ordine” e scusandosi scivolò via.
Il
cameriere stava giocando con un coltello di acciaio buono, sì e no, per
tagliare la maionese. Lo faceva girare attorno alle dita con la maestria di un
prestigiatore. La giornalista ammirò l’agilità della mano poi fissò il cameriere
che trovò più brutto delle statue dell’Isola di Pasqua. Quello sorrise
compiaciuto mostrando una dentiera modello Dracula il vampiro. La giornalista
assaggiò una tartina di finto caviale, una di vero salmone affumicato che bagnò
con mezzo bicchiere di spumante appena decente. Ringraziò Dracula e cominciò a
fissare le immagini alle pareti.
La mostra
aveva un titolo: I Grandi Maestri e le Giovani Promesse. Tutto e solo
fotografia. I grandi maestri stavano nella prima sala, le promesse nella
seconda. Dieci erano i grandi maestri; alcuni estinti, gli altri assenti, uno
solo presente che dall’abbigliamento e parlantina pareva un vecchio trombone. I
giovani c’erano quasi tutti, con le amiche, gli amici, e i telefonini
appiccicati alle orecchie.
La giornalista
osservò le immagini, prese appunti e un catalogo che il direttore le vietò,
categoricamente, di non pagare. Scattò una ventina di foto con una piccola
digitale sapendo di non essere un grande maestro né una giovane promessa.
Alle ore
ventuno era stanca; si sedette sull’unica sedia libera e cominciò a sfogliare
il catalogo. Preferì le immagini dei grandi maestri, tutte di grande formato,
vicino al metro quadrato, e tutte rigorosamente in bianco e nero. Quelle dei
giovani, assai più piccole, erano esplosioni di colore, elaborate al computer,
con molto tecinicismo e poca poesia. A colpirla fu un ingrandimento in bianco e
nero: grande casa buia con due finestre illuminate, di fianco un grande albero
sbattuto dal vento, la sagoma nera di una figura che era meglio non incontrare.
Ritornò davanti all’immagine analizzandola centimetro per centimetro.
“Le piace?”
chiese da dietro il vecchio trombone spaventandola.
“Mi da i
brividi, e stavo cercando di capire il perché” rispose con una mano sul cuore.
“L’autore
sono io, e da molti anni fotografo le case della morte” precisò l’attempato
fotografo cha amava la bella vita.
“E perché
non fotografa quelle della vita?”
“Perché
quelle non interessano a nessuno. La normalità non genera brividi; queste foto
sì quindi obiettivo raggiunto” precisò. Le chiese il catalogo e cercò immagini
importanti per meglio elogiare se stesso.
“Guardi:
Max Erns, Paul Delvaux, René Magritte. Sono i pittori surrealisti a cui mi
ispiro. Nelle mie foto cerco le stesse atmosfere, punto, come ha detto lei, ai
brividi.”
“E vedo che
ci riesce. Complimenti” lo ripagò la donna. Poi l’uomo, non ancora soddisfatto,
scese nei dettagli:
“Episodio
vero. Una signora rincasa a mezzanotte, vede la propria casa con due finestre
illuminate, non capisce, cerca la chiave, dal buio emerge un’ombra, nella mano
destra una lama manda sinistri bagliori”. Il fotografo si ferma, con l’indice
fissa i punti sull’immagine.
“A questo
punto concluda la storia” pretende la giornalista.
“La donna
finisce come una mortadella sotto l’affettatrice, il delinquente fugge e non è
mai stato trovato. Ah… suonava mezzanotte.”
“Mio Dio
che schifo” miagola la donna quasi vomitando le parole.
“Sarà pure
uno schifo ma questa è la vita, e questa foto la racconta.”
“Perché
proprio mezzanotte? A me pare un’ora scontata, un tantino banale, non le pare?”
“Nient’affatto. Mezzanotte segna una fine e un inizio. Provi a
pensarci.” Lei, a pensarci, proprio non vuole. Qualcuno che lo chiama maestro
si prende il fotografo per un’immagine col direttore. I giovani sparano lampi
con flash e cazzate con un linguaggio da taverna del porto. Controllano il
risultato sul display, scelgono la migliore. Per sentirsi bravi applaudono se
stessi.
Alle
ventuno e trenta si chiude. Il direttore ho scelto il vecchio maestro, una
giovane promessa e la giornalista. Li prende in disparte, gli propone un
ristorantino poco distante e molto rinomato.
“Cenetta
raffinata, servizio veloce, due orette con le gambe sotto il tavolo e si parla
di arte.” La giornalista sente i reclami dello stomaco quasi digiuno, accetta.
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