venerdì 17 febbraio 2012



BRIVIDI A MEZZANOTTE










   La scala che saliva al primo piano era buia, ripida e senza corrimano. In alto, alla fine dei gradini, una sottile lama di luce filtrava sotto la porta. Appena dentro alla galleria d’arte la giornalista individuò il direttore, si presentò informandolo del buio scala.
   “È stato un problema tecnico, improvviso e imprevisto. L’elettricista sta arrivando. Grazie… piacere” disse ossequioso allungando la mano e dimostrando, con quel “piacere”, di conoscere il Galateo come la Teoria della relatività. Poi, con un inchino, aggiunse “il suo articolo darà lustro alla nostra mostra agevolando l’afflusso”.
   La giornalista, abituata a studiare il prossimo in profondità, lo trovò viscido come un’anguilla. Anche perché guardava tutti di sbieco. Fu accompagnata al tavolo del rinfresco dove il direttore sfoderò tutta la sua autorità intimando al cameriere:
   “Questa signora, che ci onora con la sua presenza, è una famosa giornalista” anche se non era vero “trattamela bene. È un ordine” e scusandosi scivolò via.
   Il cameriere stava giocando con un coltello di acciaio buono, sì e no, per tagliare la maionese. Lo faceva girare attorno alle dita con la maestria di un prestigiatore. La giornalista ammirò l’agilità della mano poi fissò il cameriere che trovò più brutto delle statue dell’Isola di Pasqua. Quello sorrise compiaciuto mostrando una dentiera modello Dracula il vampiro. La giornalista assaggiò una tartina di finto caviale, una di vero salmone affumicato che bagnò con mezzo bicchiere di spumante appena decente. Ringraziò Dracula e cominciò a fissare le immagini alle pareti.
   La mostra aveva un titolo: I Grandi Maestri e le Giovani Promesse. Tutto e solo fotografia. I grandi maestri stavano nella prima sala, le promesse nella seconda. Dieci erano i grandi maestri; alcuni estinti, gli altri assenti, uno solo presente che dall’abbigliamento e parlantina pareva un vecchio trombone. I giovani c’erano quasi tutti, con le amiche, gli amici, e i telefonini appiccicati alle orecchie.
   La giornalista osservò le immagini, prese appunti e un catalogo che il direttore le vietò, categoricamente, di non pagare. Scattò una ventina di foto con una piccola digitale sapendo di non essere un grande maestro né una giovane promessa.
   Alle ore ventuno era stanca; si sedette sull’unica sedia libera e cominciò a sfogliare il catalogo. Preferì le immagini dei grandi maestri, tutte di grande formato, vicino al metro quadrato, e tutte rigorosamente in bianco e nero. Quelle dei giovani, assai più piccole, erano esplosioni di colore, elaborate al computer, con molto tecinicismo e poca poesia. A colpirla fu un ingrandimento in bianco e nero: grande casa buia con due finestre illuminate, di fianco un grande albero sbattuto dal vento, la sagoma nera di una figura che era meglio non incontrare. Ritornò davanti all’immagine analizzandola centimetro per centimetro.
   “Le piace?” chiese da dietro il vecchio trombone spaventandola.
   “Mi da i brividi, e stavo cercando di capire il perché” rispose con una mano sul cuore.
   “L’autore sono io, e da molti anni fotografo le case della morte” precisò l’attempato fotografo cha amava la bella vita.
   “E perché non fotografa quelle della vita?”
   “Perché quelle non interessano a nessuno. La normalità non genera brividi; queste foto sì quindi obiettivo raggiunto” precisò. Le chiese il catalogo e cercò immagini importanti per meglio elogiare se stesso.
   “Guardi: Max Erns, Paul Delvaux, René Magritte. Sono i pittori surrealisti a cui mi ispiro. Nelle mie foto cerco le stesse atmosfere, punto, come ha detto lei, ai brividi.”
   “E vedo che ci riesce. Complimenti” lo ripagò la donna. Poi l’uomo, non ancora soddisfatto, scese nei dettagli:
   “Episodio vero. Una signora rincasa a mezzanotte, vede la propria casa con due finestre illuminate, non capisce, cerca la chiave, dal buio emerge un’ombra, nella mano destra una lama manda sinistri bagliori”. Il fotografo si ferma, con l’indice fissa i punti sull’immagine.
   “A questo punto concluda la storia” pretende la giornalista.
   “La donna finisce come una mortadella sotto l’affettatrice, il delinquente fugge e non è mai stato trovato. Ah… suonava mezzanotte.”
   “Mio Dio che schifo” miagola la donna quasi vomitando le parole.
   “Sarà pure uno schifo ma questa è la vita, e questa foto la racconta.”
   “Perché proprio mezzanotte? A me pare un’ora scontata, un tantino banale, non le pare?”
   “Nient’affatto. Mezzanotte segna una fine e un inizio. Provi a pensarci.” Lei, a pensarci, proprio non vuole. Qualcuno che lo chiama maestro si prende il fotografo per un’immagine col direttore. I giovani sparano lampi con flash e cazzate con un linguaggio da taverna del porto. Controllano il risultato sul display, scelgono la migliore. Per sentirsi bravi applaudono se stessi.
   Alle ventuno e trenta si chiude. Il direttore ho scelto il vecchio maestro, una giovane promessa e la giornalista. Li prende in disparte, gli propone un ristorantino poco distante e molto rinomato.
   “Cenetta raffinata, servizio veloce, due orette con le gambe sotto il tavolo e si parla di arte.” La giornalista sente i reclami dello stomaco quasi digiuno, accetta.

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