LA GRANDE
ABBUFFATA
La grande
abbuffata a cui mi riferisco non è il pranzo di Natale o il cenone di
capodanno, ma la sbornia culinaria televisiva che ci assale da oltre vent’anni
con ricette che nessuna casalinga proverà mai a fare. Questi nuovi e vecchi maestri
(maschi e femmine), per andare in televisione hanno dovuto scegliere tra
innovazione e tradizione. Se parti con la tradizione sei fregato, superato,
rifiutato. Allora via con l’innovazione che richiede idee nuove, proposte
coraggiose, abbinamenti folli. Qualche esempio visto in televisione: cotechino
col cioccolato, panettone avanzato a Natale con olio di oliva, un brodino con
le solite verdure e venti foglie fresche di alloro. È noto pure agli
apprendisti che una foglia fresca di alloro può rendere amaro un quintale di
ragù. E che dire della signora che ha
condito, e mischiato, l’insalata verde con le mani: le unghie lunghe qualche
centimetro e dipinte, anelli, braccialetti e orologio. Chi dice che la cucina è
fatta con le mani bestemmia. Le mani sono spesso sporche, spostano batteri, la
tecnologia offre tutto per evitare il contagio col cibo che va manipolato il
meno possibile. La vanità di questi chef alla pommarolla è pari al loro
narcisismo; i loro piatti sono sempre buonissimi, gustosi, raffinati,
eccezionali. Lo affermano loro. Mangiano e bevono davanti alle telecamere
ignorando il galateo moderno. Hanno pure un loro linguaggio d’insipida
monotonia: vado a soffriggere, vado a sfumare, vado a impiattare, verbo
orribile. Ma dove vai se sei sempre lì fermo? La loro unità di misura sono i
millilitri. Millilitri? Non è più semplice dire venti grammi di questo, trenta
grammi di quello, mezzo bicchiere di vino bianco? Le donne soprattutto, in nome
della vanità femminile modello catodico, dopo aver manipolato carne e pesce,
verdure e quant’altro si passano le mani nei capelli ignorando la forfora che
non è parmigiano grattugiato. A impressionare sono le scuole di cucina sparse
nel mondo, che ti trovi sul video passeggiando sui vari canali. Gli insegnati sono
duri come i mercanti di schiavi, trattano gli allievi, e i loro piatti mal
riusciti, con le parolacce peggiori che il vocabolario, arrossendo, è costretto
a registrare. Gli allievi balbettano, tremano, alcuni piangono. Dicono sempre
sì chef, sì chef. Alcuni di questi “maestri” lavorano con la matita
sull’orecchio fermata dai capelli troppo lunghi. Così palpano l’una e gli
altri. Qualche anno fa scoprimmo che il miglior cuoco del mondo era spagnolo:
gran ristorante, prenotazione, un anno d’attesa, un conto salato. Questo super
cuoco definiva il suo lavoro gastronomia molecolare; un nome, direi, da reparto
ospedaliero. La trasmissione Striscia la
Notizia andò sul posto a curiosare scoprendo che la sua gastronomia
molecolare era chimica. Figuraccia planetaria, ristorante chiuso. E coi
fenomeni della Guida Michelin che gli
diedero tre stelle come la mettiamo? Ci sono poi i
giornalisti-scrittori-presentatori buoni in tutte le salse. Ogni tanto scrivono
un libro che presentano in dieci o venti canali diversi, con l’accordo che io
vengo da voi, poi voi venite da me e tutti insieme manteniamo lucida la nostra
immagine. Il pretesto è la ricetta della nonna che mostrano assistiti dal
professionista. La colpa non è delle nonne, semmai dei nipoti, che per
aumentare la tiratura scenderebbe anche in miniera. Passati gli anni d’oro
delle ostriche, aragoste, caviale vediamo avanzare le polpette, nascono le Case del Pane, la cronaca quotidiana ci
porta in casa una realtà tragica che sarebbe bene tenere presente. Tra questi
insegnati olimpionici c’è pure una suora e un frate: umili come il loro abito
richiede, con ricette semplici come la loro mensa esige, gli unici che si
guardano volentieri. Cucinare è qualcosa di troppo serio e di parecchia
responsabilità: richiede divisa bianca, il classico cappello da cuoco, meglio
se inamidato, il disinfettante sempre vicino per le mani e l’attrezzatura, la mascherina quando si ha
il raffreddore o il mal di gola. La televisione rifiuta questi accessori
indispensabili. Lei vuole i “maestri” vestiti come capita, niente copricapo per
i capelli, quindi avanti come sempre anche se non se ne può più. Allora, che
dire? Buona abbuffata.
(Remo Torti) Dorno.
Spett.
Redazione,
invio questo
scritto per la pagina delle “Lettere”. Ho sforato leggermente ma questo, sul
vostro giornale, succede spesso. Lo compro tutti i giorni da 35 anni. Credo che
non sia un problema di righe ma di contenuti. Chiedo cortesemente che non venga
tagliato. Grazie. Una stretta di mano.
Recapiti:
Remo Torti, via
Pellizza da Volpedo 24 27020 Dorno (Pv)
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