venerdì 22 maggio 2015

La grande abbuffata


LA GRANDE ABBUFFATA

La grande abbuffata a cui mi riferisco non è il pranzo di Natale o il cenone di capodanno, ma la sbornia culinaria televisiva che ci assale da oltre vent’anni con ricette che nessuna casalinga proverà mai a fare. Questi nuovi e vecchi maestri (maschi e femmine), per andare in televisione hanno dovuto scegliere tra innovazione e tradizione. Se parti con la tradizione sei fregato, superato, rifiutato. Allora via con l’innovazione che richiede idee nuove, proposte coraggiose, abbinamenti folli. Qualche esempio visto in televisione: cotechino col cioccolato, panettone avanzato a Natale con olio di oliva, un brodino con le solite verdure e venti foglie fresche di alloro. È noto pure agli apprendisti che una foglia fresca di alloro può rendere amaro un quintale di ragù. E che dire della signora  che ha condito, e mischiato, l’insalata verde con le mani: le unghie lunghe qualche centimetro e dipinte, anelli, braccialetti e orologio. Chi dice che la cucina è fatta con le mani bestemmia. Le mani sono spesso sporche, spostano batteri, la tecnologia offre tutto per evitare il contagio col cibo che va manipolato il meno possibile. La vanità di questi chef alla pommarolla è pari al loro narcisismo; i loro piatti sono sempre buonissimi, gustosi, raffinati, eccezionali. Lo affermano loro. Mangiano e bevono davanti alle telecamere ignorando il galateo moderno. Hanno pure un loro linguaggio d’insipida monotonia: vado a soffriggere, vado a sfumare, vado a impiattare, verbo orribile. Ma dove vai se sei sempre lì fermo? La loro unità di misura sono i millilitri. Millilitri? Non è più semplice dire venti grammi di questo, trenta grammi di quello, mezzo bicchiere di vino bianco? Le donne soprattutto, in nome della vanità femminile modello catodico, dopo aver manipolato carne e pesce, verdure e quant’altro si passano le mani nei capelli ignorando la forfora che non è parmigiano grattugiato. A impressionare sono le scuole di cucina sparse nel mondo, che ti trovi sul video passeggiando sui vari canali. Gli insegnati sono duri come i mercanti di schiavi, trattano gli allievi, e i loro piatti mal riusciti, con le parolacce peggiori che il vocabolario, arrossendo, è costretto a registrare. Gli allievi balbettano, tremano, alcuni piangono. Dicono sempre sì chef, sì chef. Alcuni di questi “maestri” lavorano con la matita sull’orecchio fermata dai capelli troppo lunghi. Così palpano l’una e gli altri. Qualche anno fa scoprimmo che il miglior cuoco del mondo era spagnolo: gran ristorante, prenotazione, un anno d’attesa, un conto salato. Questo super cuoco definiva il suo lavoro gastronomia molecolare; un nome, direi, da reparto ospedaliero. La trasmissione Striscia la Notizia andò sul posto a curiosare scoprendo che la sua gastronomia molecolare era chimica. Figuraccia planetaria, ristorante chiuso. E coi fenomeni della Guida Michelin che gli diedero tre stelle come la mettiamo? Ci sono poi i giornalisti-scrittori-presentatori buoni in tutte le salse. Ogni tanto scrivono un libro che presentano in dieci o venti canali diversi, con l’accordo che io vengo da voi, poi voi venite da me e tutti insieme manteniamo lucida la nostra immagine. Il pretesto è la ricetta della nonna che mostrano assistiti dal professionista. La colpa non è delle nonne, semmai dei nipoti, che per aumentare la tiratura scenderebbe anche in miniera. Passati gli anni d’oro delle ostriche, aragoste, caviale vediamo avanzare le polpette, nascono le Case del Pane, la cronaca quotidiana ci porta in casa una realtà tragica che sarebbe bene tenere presente. Tra questi insegnati olimpionici c’è pure una suora e un frate: umili come il loro abito richiede, con ricette semplici come la loro mensa esige, gli unici che si guardano volentieri. Cucinare è qualcosa di troppo serio e di parecchia responsabilità: richiede divisa bianca, il classico cappello da cuoco, meglio se inamidato, il disinfettante sempre vicino per le mani  e l’attrezzatura, la mascherina quando si ha il raffreddore o il mal di gola. La televisione rifiuta questi accessori indispensabili. Lei vuole i “maestri” vestiti come capita, niente copricapo per i capelli, quindi avanti come sempre anche se non se ne può più. Allora, che dire? Buona abbuffata.

            (Remo Torti)  Dorno.

 

 

Spett. Redazione,

                             invio questo scritto per la pagina delle “Lettere”. Ho sforato leggermente ma questo, sul vostro giornale, succede spesso. Lo compro tutti i giorni da 35 anni. Credo che non sia un problema di righe ma di contenuti. Chiedo cortesemente che non venga tagliato. Grazie. Una stretta di mano.

                                                                

Recapiti:

Remo Torti, via Pellizza da Volpedo 24  27020 Dorno (Pv)

Tel 0382-848239  tortiremo@libero.it  torti.remo@alice.it

 

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