Terminale Idroscalo
Lo vedono migliaia di persone ogni giorno, alcuni con dispiacere, quasi tutti con indifferenza. È l’Idroscalo di Pavia, un imponente edificio che si decompone lentamente ai bordi del Lungo Ticino Sforza. È una macchia nera su un foglio bianco, un dito puntato contro noi come la canna di una pistola. Alziamo le mani, facciamo silenzio, qualcuno ci penserà. Ma non ci penserà nessuno. Per questo spicchio di storia pavese qualche idea di tanto in tanto è spuntata: facciamone un museo, trasformiamolo in un ristorante. Poi le belle parole si spengono, i buoni propositi muoiono e l’agonia continua. Negli anni Sessanta fu strappata via la ferrovia Voghera Varzi; un gioiellino che nelle mani giuste sarebbe diventata un’ottima attrazione turistica. Negli anni Ottanta crollò la Torre Civica e, ammettiamolo, non siamo manco capaci di conservare dignitosamente lo squallido moncone che ne rimane. Nel 1902 a Venezia crollò il Campanile di San Marco. I veneziani recuperarono il materiale riutilizzabile, fecero proprio il grido del sindaco “dov’era e com’era” rifacendolo bello come prima. Voci bene informate sostengono l’imminente fine dell’Aeroporto di Rivanazzano. Un pezzo alla volta perdiamo tutta l’argenteria di famiglia. Ma torniamo all’Idroscalo.
Fu inaugurato il primo aprile 1926 da Mussolini, e non fu un pesce d’aprile ma una pagina di storia. Ecco perché: quell’edificio (questo edificio) fu lo scalo della prima linea aerea regolare italiana per il trasporto passeggeri. Questo l’itinerario: Torino, Pavia, Venezia, Trieste, chilometri 575, costo del biglietto 375 lire. L’aereo scendeva, faceva rifornimento, i viaggiatori salivano al ristorante. Milano istituì un terminal collegato con l’Idroscalo di Pavia con autocorriere che arrivavano e partivano in coincidenza coi voli. Si dice che per trasformare una massa di persone in un popolo servano tre cose: la lingua, la religione, la storia. Noi abbiamo la lingua di Dante, la religione del perdono e della risurrezione, la storia che ci siamo meritata. Eppure questa nostra pagina di Storia che sta piantata là da quasi un secolo la lasciamo decomporre nell’indifferenza generale. Comunque gli idrovolanti (molto migliori di quelli del 1926) continuano a volare sui laghi, fiumi e mari, in Italia e altrove. Proposta: perche non si ripristina la vecchia linea Torino Trieste con criteri moderni per un nuovo turismo? Il mio pensiero corre a Venezia. E bravi i veneti che rifecero il Campanile di San Marco al grido “dov’era e com’era”. E noi? Guardando quell’edificio fatiscente bisbigliamo “com’è e dov’è”.
(Remo Torti)
Dorno
Pubblicato sui giornali locali
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